Prosegue l’ottima risposta di pubblico per il
Teatro Elettra con la rappresentazione i
4 Briganti,
seconda stagione. Prosegue così bene che la compagnia, guidata dal
regista e attore Alberto Buccolini, ha deciso di prorogare le repliche
dello spettacolo “fino ad esaurimento richieste”. La piece
rappresentata, opera di un autore pesarese contemporaneo,
Paolo Cappelloni,
accompagna lo spettatore in un viaggio verso l’emancipazione femminile
con leggerezza e divertimento, ma non per questo in modo inefficace.
Tuttavia non è solo questo l’aspetto trattato. La vicenda narra anche
del rapporto tra uomo e religione, dei rapporti umani tout court, delle
dinamiche nelle relazioni di coppia, delle priorità che ogni persona si
dà nel corso della vita. L’allestimento è egregiamente ottimizzato per
lo spazio a disposizione degli attori. Tutto si svolge in una sola
stanza, la sacrestia, dove si alternano i diversi personaggi richiamati
da una “qualche ricchezza”. Che si tratti di cibo, per la maggior parte,
o di ipotetici tesori nascosti “perché i preti le fanno queste cose”,
tutti passano da un
don Eugenio (
Buccolini)
sempre pronto a dare una mano. Talmente pronto da non lasciarsi
sfuggire l’occasione di cercare di riportare almeno due dei quattro
briganti sulla retta via. Talmente pronto che sacrifica tutto il suo
pasto offrendolo ora a questo ora a quel bisognoso. Talmente pronto da
non essere lui il protagonista effettivo della commedia. Contrariamente a
quanto potrebbe apparire, non ruota tutto attorno a
don Eugenio.
Il prelato è solo la scusa perché le cose accadano, non ne è il motore.
È il catalizzatore degli avvenimenti. Colui che rende possibili
cambiamenti di rotta. Una sorta di grillo parlante scanzonato e per
nulla pedante. Bravi tutti gli attori, preparati e pienamente nei
personaggi, cosa che ha conferito passo ottimale allo spettacolo.
Inequivocabili e ben integrati i richiami ai grandi del teatro e del
cinema italiano della prima metà del secolo scorso così come immediati
alcuni siparietti tipici della commedia nostrana. Tirando le somme, in chiusura di sipario,
uno spettacolo ben riuscito, con attori di indubbio valore e un copione
impegnato quanto basta.
Christus Regnat Semper!
"I 4 Briganti", commedia teatrale di ironia
tra spade fra Sergio Citti, Carlo Goldoni e Mario Monicelli
Recensione di Francesco Olivieri
Nel pensoso pomeriggio autunnale di questa nuvolosa
e anonima Domenica 17 Novembre, dopo aver visto con sguardo sorpreso e
divertito, una bonaria coppia di amici travesti da centurioni romani entrare in
un bar per bere qualcosa di fresco, ho avuto la piacevole e rassicurante
fortuna di assistere finalmente dopo tanto tempo, ad uno spettacolo di alta
scuola teatrale, che in poco meno di due ore di sincere emozioni è riuscito
nell'ardua impresa di coinvolgere generosamente il suo pubblico con l'onesta e
soprattutto schietta rappresentazione di una moderna commedia di costume dalla
grande atmosfera "Picaresca", condotta con una solida mano di sicuro
mestiere dal brillante autore Paolo Cappeloni.
La storia è quella di una piccola comunità romana
vissuta nell’1898, dove il buon vecchio Don Eugenio è il padre spirituale
nonché il "confessore" della brava gente del luogo, che puntualmente
lo assilla con i suoi piccoli e grandi problemi d'amore, di fede, di fame, vizi
e pubbliche virtù all'interno di una carovana di equivoci senza fine fra risate
e lacrime, sorrisi e riflessione sociale che viene innescata dalla più
improbabile delle compagnie vale a dire quella dei Briganti.
I personaggi della storia sono tutte quante delle
maschere di calore e dignità umana che sono tra di loro davvero molto
eterogenee: tanto per cominciare abbiamo in primis Don Eugenio, magistralmente
interpretato dall'attore e regista Alberto Buccolini.
Una specie di versione ironica, farsesca e perfino pulp
del buon Don Abbondio di manzoniana memoria, che per difendere la pace dei suoi
fedeli, non esita quindi ad imbracciare le armi contro i briganti "saggi
amici /nemici del suo gruppo di affetti.
Poi sempre partendo dal coro maschile dei
personaggi principali c'è il personaggio del brigante Fosco, interpretato dal
solido e viscerale Dario Scarpati che per certi versi ha omaggiato con
irriverente grottesca baldanza il personaggio di Vittorio Gassman de
"L'Armata Brancaleone".
A lui fa poi eco il bel giovane attore molto ottocentesco
e dal fascino discreto e dalla affascinante presenza e sorprendente umiltà
recitativa molto british, Goffredo Marsiliani nel ruolo del brigante e
gentiluomo Orlando.
Sempre nella simpatica squadra di questi ineffabili
animali da palcoscenico amerei citare ancora fra gli attori, il bravissimo Aldo
Emanuele Castellani nel ruolo del simpaticissimo e pittoresco commensale
Cencio che sembra uscito addirittura da un racconto di Servantes con la sua
comicità ilare surreale e a tratti perfino malinconica e il brioso caratterista
Giancarlo Martini nel ruolo del paradistico "Orecchia", che in
qualche modo come il già citato Cencio è il giullare di una Roma popolare che
guarda il mondo che cambia intorno a se sia i suoi usi che i suoi costumi,
cercando di trovare il suo posto al sole per poter essere un giorno libero e
felice di essere se stesso senza ne paure o padroni di alcun genere.
Passando ora ad analizzare per equità e puro
piacere di giudizio critico, l'altra metà del cielo di questa variopinta e
talentuosa compagnia di attori, vorrei egualmente e con certo orgoglio dato che
ne conosco alcune soffermarmi sul lavoro delle giovani attrici.
Palma Karmen D'Addeo nel ruolo della dolce
e combattuta Martina a mio modesto parere ha rappresentato con assoluta
presenza scenica e psicologica il viaggio privato di una fanciulla all'alba di
un cambiamento. Raccontandoci con sentimentale e sentita partecipazione il
conflitto di questo personaggio femminile arrivato alla difficile soglia
dell'età adulta. L'attrice lo ha fatto con un aureo candore pieno di fragilità,
ansia e voglia di vivere e di sognare nonostante le molte avversità del suo
tempo.
Portando cosi facendo dentro di sé, i segreti
tormenti di un cuore troppo giovane per diventare adulto, ma mai troppo
spaventato per inseguire il vero amore. Esprimendo con gentilezza e briosa
innocenza, le travagliate vicende amorose e morali di una ragazza incinta che
alla fine trova se stessa, anche grazie alla fiamma rivoluzionaria e femminista
di un certo sconvolgimento storico che si rivela all'improvviso davanti agli
occhi.
Mantenendo sempre viva e vitale una recitazione collaborativa
e generosa con i tutti i suoi compagni di scena, puntando ad una performance
gioiosa, abile e di sicuro effetto e dando ad un figura mite e innocente un
aria inaspettatamente ribelle.
Per contrasto la vitale e spavaldamente grintosa Teresa
Luchena nel ruolo diciamo più drammatico della moglie adultera Filomena, ci
mostra con spagnoleggiante leggerezza i conflitti interiori e passionali di una
giovane donna, torturata dal dubbio e dall'amore molesto del suo tempo.
Una donna che tradisce il marito, perché si sente
ingannata dalla vita e vuole riavere una seconda chance con un altro uomo, ma
in realtà sta solo cercando di ritrovare la sua identità morale osservando con
compiaciuta e beffarda ironia un mondo storico perfino più in tumulto del suo
cuore impazzito.
Il personaggio di Filomena possiede qualcosa di
Magnani nella sua volitiva esigenza amorale ad aggredire il suo presente
sbagliato e spesso bugiardo per riavere in cambio qualcosa di vero per il
futuro di cui questa bravissima attrice potrebbe raccogliere un domani, perché
no, la pesante eredità.
Infine nei personaggi sempre femminili di Giuditta
"La Diavola" di Flavia Pinti e di Maria di Grazia Latorre sono due
personaggi di carattere in questa colta e raffinata commedia di sano e intelligente
intrattenimento. "La diavola", di Flavia Pinti energica e
vibrante come una giovane regina nordica e vichinga esprime con una recitazione
di spazio e rango, la filosofia del cambiamento e dell'equilibrio per trovare
l'armonia e l'uguaglianza di due mondi prima in costante lotta.
Il suo è un ruolo
controverso e centrale che porta sulle sue spalle tutto il coro greco e i
messaggi di rivolta e di emancipazione femminile dei personaggi della nostra
storia e che lei esegue con grande responsabilità e rigore interpretativo.
Mentre, Grazia Latorre come già nel caso del
personaggio di Martina, di Palma Karmen D'Addeo, anche lei restaura e
modernizza con la "palestra di una misura interpretazione "a
soggetto", la figura della giovane vedova sottomessa e schiava del proprio
passato, aprendosi a nuova speranza con un personaggio sempre sapientemente
sospeso fra la religiosa osservanza verso il caro e antico ricordo di un amore
perduto e l'umoristica e passionale sensualità verso un nuovo e improbabile
amore e radioso avvenire.
In conclusione il lavoro del talentuoso regista e
attore Alberto Buccolini rappresenta a mio dire una festa per gli occhi
e per cuore degli spettatori di tutte le età, che esprime un bel messaggio di
uguaglianza fra i popoli in una storia divertente e onesta che in una sera
autunnale è proprio come stella cadente che all'improvviso lascia spazio per i
desideri di un mondo migliore.
Da aspirante e giovane regista e sceneggiatore
oltre che critico posso dire che sarà stato un vero privilegio e regalo
lavorare con dei giovani attori di questo calibro, che saranno grandi proprio
perche non sentono mai grandi.
Un ultima annotazione di merito va anche ai costumi
e alle luci di scena che mi hanno personalmente trasportato nel messaggio di una
bottiglia trovato sulla spiaggia di un altra epoca...,. davvero complimenti a
tutti per questa la bellissima ed inaspettata esperienza di autentico amore per
l'arte.